lunedì 1 novembre 2010

Retrospettiva - parte prima

 Ripensandoci mi sono reso conto di essermi affezionato a tutte le auto che ho guidato in questi anni, un po' come ci si affeziona ai vecchi amici. E a loro, le mie compagne di strada che mi hanno portato in giro negli anni, voglio dedicare questo post.


La piccola 126 rossa è stata la prima auto che ho guidato in assoluto (quella in foto non è la mia ma è praticamente identica). Ricordo che da piccolo gli incollai uno stemma col cavallino rampante dicendo agli altri bambini che avevo una ferrari. Loro, però, non la bevvero mai. 
La prima volta che ci salii dal lato del conducente avevo 13 anni e un po' di fifa: anche se oggettivamente non era certo una belva era comunque più veloce di qualsiasi cosa avessi mai guidato (ovvero della bici, all'epoca non avevo nemmeno il motorino). Di lei ho tanti ricordi: lo sterzo dalla corona sottilissima, il tachimetro con la lancetta ballerina e sopratutto le due levette sotto il freno a mano, una per chiudere l'aria e l'altra per avviare il motore - alla faccia di chi pensa che il motore che si avvia col pulsante sia un'invenzione moderna. Il piccolo bicilindrico ad aste e bilancieri - uno degli ultimi montati su una fiat - faceva il suo lavoro frullando allegramente alle mie spalle, e questa è una sensazione che non ho più provato, dato che le case automobilistiche - per quanto riguarda le auto normali, ovviamente - si sono fissate cocciutamente che il motore deve stare per forza davanti. Ah, il pedale dell'acceleratore era incernierato alla base come sulle sportive vere e lo scarico scoppiettava ad ogni cambio marcia. Purtroppo i miei la rottamarono poco dopo aver preso la patente, quindi mi dovetti accontentare - e ci tenevo molto - di guidarla per l'ultima volta nel suo ultimo viaggio, fino allo sfascio.


La Uno Cs. O per meglio dire, la "freccia d'argento", come la chiamavo scherzosamente un po' per il colore (grigia come quella in foto) un po' per ironizzare sulle prestazioni non certo esaltanti. Questa è stata la mia prima auto, la prima che ho guidato regolarmente per un paio d'anni, prima che un malore alla pompa di benzina stroncasse la sua esistenza con più di 250000 chilometri all'attivo. Quest'auto, come potete immaginare, era estremamente spartana: lo sterzo era pesantissimo, i finestrini si aprivano con la manovella e non c'era nemmeno la radio. Supplii alla mancanza mettendo sulla plancia la mia vecchia radio che usavo a casa, perchè lo spazio no, quello non mancava di certo. La soluzione però durò poco perchè le vibrazioni furono letali per la radio, che ovviamente non era stata progettata per stare sulla plancia di una macchina ma su una scrivania.
Anche il comportamento stradale non era granchè: il motore faceva un rumore simile al lamento di un ermellino che viene scuoiato vivo per trasformarlo in una pelliccia, lo sterzo era mostruosamente impreciso e il cambio grattava se non lo si trattava con una delicatezza estrema. La frizione richiedeva polpacci da culturista (che io non ho mai avuto) e i freni erano modulabili come l'interruttore di una lampadina.
D'altro canto, però, era solida come una roccia: le sospensioni progettate per il brasile degli anni ottanta si facevano beffe delle buche nostrane e la carrozzeria non si scalfiva nemmeno prendendola a martellate. 
Obiettivamente non era granchè, però la piccola uno mi è rimasta nel cuore perchè è stata quella con cui ho imparato a guidare e con cui per i primi tempi ho messo a rischio la mia vita e quella delle persone che mi stavano accanto.


Michelle, la mia Saxo, l'auto che nonostante tutto non smetterò mai di rimpiangere. Ci tenevo talmente tanto che poco prima di rottamarla misi su you tube il video che vedete qui sopra. Potrei stare ore a spiegarvi perchè Michelle mi è rimasta nel cuore, ma cercherò di evitare di parlarmi addosso per troppo tempo. Con il suo colore grigio canna di fucile integrale (integrato dallo strato di polvere e fango accumulato in anni di logorante servizio) e il casino che faceva il motore sembrava uscita da un film di Mad Max, e di questo ne andavo particolarmente fiero. 
Gli interni mi piacevano tantissimo, mi piaceva lo sterzo a due razze come da miglior scuola francese, mi piaceva la plancia asimmetrica, mi piaceva il fatto che ci fosse un tastierino numerico davanti al cambio su cui digitare la combinazione per avviare il motore. Mi piaceva, sopratutto, il fatto che nonostante il motore avesse solo 60 cavalli Michelle fosse molto divertente da guidare. E questo perchè era estremamente comunicativa. In ogni momento sapevi quanto grip rimaneva ad ogni ruota, e quanto e come sarebbe sbandata una volta esaurite le riserve di aderenza. 
Questo mi portava a guidare quasi sempre al limite e spesso anche oltre il limite, anche se questa abitudine mi costò una volta un terrificante testacoda su un ponte altissimo, con tanto di gigantesco camion che veniva dal lato opposto. Mi fermai terrorizzato di traverso sulla strada guardando il precipizio davanti a me oltre il fragile guard rail. E improvvisamente mi colse la consapevolezza del fatto che se avessi colpito il guard rail l'avrei sfondato, avrei fatto un volo di una trentina di metri e sarei morto. Ma quella volta fu un errore mio, lei non c'entra.
Ho perso il conto di tutte le volte in cui mi sono trovato uno spiazzo libero e mi sono divertito a farla sovrasterzare rilasciando di botto l'acceleratore o tirando il freno a mano. Michelle era il mio giocattolo preferito e il mezzo che mi ha portato a zonzo per mezza sicilia per 4 anni, fino a quando anche lei se ne è andata a causa di guasti multipli e continui. 
L'unico difetto serio era che consumava come una Murcielago, l'indicatore di livello della benzina andava giù a vista d'occhio come se avesse avuto il serbatorio sfondato, ma - e lo so perchè l'ho pure fatta controllare una volta - non era così. Non ho mai capito come mai consumasse così tanto, ma in fin dei conti non me ne fregava nulla, lei non la dimenticherò mai.

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